Vivo in una famiglia di maniaci del controllo.
Da bambino, questa loro tendenza si esprimeva nello spasmodico tentativo di tenermi sempre per mano, in qualsiasi contesto quotidiano ben oltre il giusto o il”normale”, mai sopra le righe, mai in grado di essere troppo vivace o espansivo o agitato: ne uscii ragazzino insicuro, taciturno, esageratamente timido e con molta più vita svolta nella mente che in tatto ed azioni. Non riuscivo mai ad esprimere le mie emozioni ed i miei desideri come volevo…le uniche sfere della vita nelle quali sapevo impegnarmi con successo erano quelle obbligate, e penso soprattutto all’ambito scolastico.
I primi…15?18?anni della mia vita sono stati sospesi a metà tra la esplosività di quel che sentivo dentro e la pochezza di ciò che sapevo esternare, limitato dentro me stesso e da me stesso da una inadeguatezza trasversale ai contesti sociali, alla compagnia, al mio stato di ansia e stress ed alla effettiva presenza delle figure familiari così ingombranti.
Sì, perché l’impaccio si radicò così in profondità da permanere assolutamente anche quando non erano lì con me, loro, a verificare, somministrare Educazione e irrigidirmi. Mi stupisco, conoscendo il mio vissuto, quando qualcuno mi chiede conto delle mie esperienze relazionali di gioventù, perché io facevo una fatica bastarda già ben più in superficie…
Ogni vestito scelto è stato un”così va bene?“, ogni acquisto un massacro di seghe mentali ed incertezza, ogni nuova persona un tripudio di valutazioni radiografie e giudizi superficiali ma quanto più spietati possibile, ogni telefonata la massima incarnazione dell’impicciarsi…
A cosa sia servito essere uno studente modello per poi diventare un disadattato sociale, me lo dovranno spiegare i miei genitori un giorno, quando mi farò coraggio e li massacrerò rinfacciando loro tutto questo.
Sì, perché dovete sapere che non ho mai avuto la cattiveria e l’astio necessari a spiegar loro quanto consideri inadeguato ed imperfetto il lavoro che han fatto col loro unico figlio, ma mi trattengo dall’esprimerlo, finendo anche per essere da loro etichettato come un chiacchierone che non ha alcuna “sostanza” a suffragare le proprie farneticazioni, perché temo sarebbe una violenza enorme e gratuita… Anche se una parte di me, ora che lo sto scrivendo, è convinta che si trincererebbero dietro l’orgoglio, rimproverandomi di non aver cambiato la morfologia della mia mente e del mio cuore in età adulta.
Non ci credo, che si cambi davvero.
L’imprinting è quello, il Michele bimbo impacciato resta a farmi compagnia anche ora, in ogni difficoltà nel dare un abbraccio a qualcuno oppure nell’esprimere la calda attrazione fisica nei confronti di una ragazza.
Le conoscenze recenti mi hanno sciolto, un po’, quantomeno nella capacità di costruire e mantenere un dialogo regolare ed aperto con chiunque, e l’impatto con chi di espansività ne aveva addosso persino troppa ha sciolto anche qualche fibra cerebrale dedita al contatto, ma tuttora percepisco inadeguatezza in ogni istante trascorso con qualcuno che mi destabilizza (per attrazione, o carisma, o ruolo sociale), nonostante la mia gigantesca voglia di cambiare e migliorare e nonostante miliardi di piccolissimi passi in avanti costruiti faticosamente e all’insaputa dei Grandi Censori.
È così che, purtroppo, si motiva il mio esser restio a ricevere telefonate improvvise (quanto vorrei, quanto vorrebbe una parte di me spazzar via quel che sto facendo e tuffarsi nel mondo di qualcuno abbastanza intimo da volermi all’improvviso nel proprio tempo), a presentare ai miei genitori le signorine che frequento, a dare voce ai miei pensieri anche meno intimi…
…un bagno di sangue.
Voglio fuggire via da qui