Oggi voglio scrivere della sconfitta.
Non perchè io, affranto tanto quanto sono da troppe settimane a questa parte, mi senta parte della folta schiera dei vinti, ma perchè ne posso sentire i lamenti dalla mia posizione privilegiata di sconfitto&riabilitato.
Tradizione vuole che le sconfitte siano i momenti di massimo apprendimento per ciascuno, quelli nei quali si perde il controllo dei paletti che sfruttiamo per arginare l’irritabilità e si concede all’Io-bestemmiante di prendere il sopravvento e vomitare fuori tutta l’insoddisfazione.
Nah, neanche di questo volevo parlare.
E’ che la sconfitta, di per sé, è un veleno seducente: può ridimensionare le più estreme personalità tronfie di autostima, umanizzare i nemici più odiati, fertilizzare amicizie inattese, filtrare & ricollocare disprezzo, odio, invidia, arrivismo.
Chissà quanti tipi di ‘sconfitte’ vi sono balzate alla mente, leggendo queste parole -per ora- poco originali.
Quanti di voi leggono la sconfitta negli occhi dei propri genitori, stremati dalle speranze in ciascuno di noi, incapaci tuttavia di far corrispondere ad esse una quotidianità foriera di brillantezza & fulgore?
Quanti di noi scorgono, nascosta dietro a strati su strati di intramontabile positività, le stigmate della dispiaciuta rassegnazione guardandosi allo specchio?
Quanti, ancora, soffocati da un mestiere inappagante, noioso, malcelano quotidianamente la voglia di urlare alla vita che no, non MERITANO tutto questo.
-Sì, vabbè Michè, ma che cazzo c’entra? che senso ha tutto questo? –
Nessuno, è il frutto malato di una malata nostalgia.
Torrente di una coscienza che ha conosciuto il trionfo e non vuole dimenticarne l’odore.
Malsano parto della mia immaginazione che mi vede con te eppure non potrà mai unirci.
Il dolceamaro gusto di una sconfitta nuova spinge a riflettere, a guardarsi dentro; il ripetuto, cantilenante boccone amaro degli insuccessi ripetuti, immutabili, scontati, invece, è l’innecessaria sottolineatura di una gigantografia con sopra il mio nome scritto con la cioccolata. Al gusto di arancia e cannella, suppongo.
Tarantolato amante della Sconfitta è l’Abbandono.
Più che perdere il controllo, rischio di perdermi, e basta.
Più che perdere te, sto perdendo me.
Più che perdere me, mi sto abituando al dolore.
La ribellione ha l’aspro sapore di una comparsata inattesa, di un appostamento a 150 pulsazioni al minuto chissà dove, di un messaggio rigurgitato da una notte di sonno senza sogni, ma… ma per cosa, poi?
La faccia non c’è più bisogno di salvarla, si è persa nel mare dei ricordi, in barba e nonostante i troppi tentativi d’aiuto, così apprezzati eppure così poco determinanti. L’autostima è figlia di anni di lotte intestine, non crollerà, neanche per glorioso merito di una come te. Le apparenze hanno coccolato e poi soffocato e quindi rivoltato e devastato la tua idea di te, spinto come sono stato ad un’umanità senza richieste, senza emozioni, nella quale passioni e interessi diventavano solo ostacoli al tuo bisogno di me.
Vorrei sentirmi sconfitto, a volte.
Forse, forse era questo il punto, sin dall’inizio.
Vorrei poter maledire ogni istante (non) vissuto, e sperare che, nel farlo, potessi scalfire ogni dolcissimo brandello di te che ho ingoiato. Sarebbe la via più rapida ed indolore verso la redenzione, verso altre mete e vette meno irraggiungibilmente distanti di quanto sia tu, che ti crogioli nel silenzio, ora.
Odio a comando. Se l’avessero inventato ne comprerei una scatola, e ci imprimerei sopra il tuo nome per sorseggiarne ad ogni ora del giorno e della notte, di fronte ad ogni scheggia della mia vita che mi parla di te e che mi incita a pensare a tutto ciò che non sei stata, non sei voluta essere.
Eppure, eppure io mi sento un vincitore, e non accenno a scendere dal mio trono. Non ho versato una lacrima, nè riuscirei ad immaginare di piangere per esprimere un dolore che di ordinario non ha niente se non la necessità di usare quel sostantivo per appellarlo -sciocco-.
Vinco ogni volta che mi vieni in mente, perchè rinnovo e alimento un fuoco che sa di buono, sa di te, sa d’immortalità.
Vinco ogni volta che sono sul punto di dimenticarti, perchè sorge un poco di più l’uomo che mi hai fatto diventare mentre tentavo di guidarti ad essere la donna che sei.
Vinco ogni volta che un’altra ragazza mi sfiora, perchè rivivo il gelido, cortese timore nei tuoi occhi quando ho accennato ad avvicinarmi, sacrilego.
Vinco per ogni respiro che il magone spezza, mentre la tua memoria rampante mi incita a cercare schiere di chiodi anche solo per scacciarti, ed io declino ed accetto l’offerta allo stesso tempo, confuso e felice.
Vinco se mi pensi, anche solo ogni tanto, anche solo quando ti scrivo scontate abusate parole che niente sanno della stima che diventa amore che diventa vomitante, ributtante attesa di un giorno che non sarà.
Vinco perchè so che non dovrei tentarti.
Vinco in “The Hawk is Howling”, ‘He films the clouds pt.2′, se “E’ colpa mia”, in quello schifo di ‘Circolo degli Artisti’, con la sessualità emozionante di Antony, alla gelateria siciliana vicino via del Corso, al teatro dell’accademia San Paolo, in ogni cartolina intercettata prima del controllo del generalissimo, se mi cerchi e non devo saperlo, se non mi cerchi eppure mi illudo che stia pensando a me.
Con e senza di te, per me non esiste più sconfitta.
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