La morte ha una precisione che le misere questioni di noi vivi non possono neanche sfiorare.
Sentire mio padre piangere mi dilania, vorrei aiutarlo ma so che sovrapporre il mio carico emotivo al suo sarebbe soltanto un modo -sciocco- per scaricarmi, invece di spostare sulle mie spalle il peso di una perdita così immensa.
Non ci sono preparazioni che tengano, non ci sono sentenze pronunciate da medici distaccati e professionali quanto basta ad alleviare un dolore che, quando esplode, travolge ogni barlume di lucidità, di sensatezza, di prontezza d’animo e di spirito.
Posso riuscire a soffrire “poco” io stesso, ma non ho nessuna arma per fronteggiare il dolore dei figli della mia povera nonna, che ho visto gioire di indipendente serenità fino a due mesi fa e in così breve tempo ho perso per sempre.
Vorrei avere qualcuno vicino al cuore, qualcuno con cui condividere la mia personale via crucis di allontanamento da una persona piccola nel fisico ma grande nell’animo e nella dolcezza.
La mia vita, purtroppo, ha questa gigantesca ferita, questo buco nero di solitudine che gorgoglia e tenta di inghiottirmi nei momenti più bui, terribili, indicibili.
Penso a chi ho perso per scelta sua, penso a chi è stato travolto dalla malattia e quindi se ne è andato involontariamente, ed accomuno distacchi assai diversi eppur simili, dolorosamente vicini nella traccia che mi lascia(ro)no addosso, solo.
Soundtrack – Maybeshewill, “Words for Arabella”